Da "Il Mattino" del 1986, di Francamaria Trapani
Giampiero Campanelli, Pietro Di Biasi, classi 1960 e '61, napoletani, medici. Non basta. Laureati a Napoli (proff. Giordano Lanza e Giovanni Ferrante) con il massimo e lode, hanno voluto andarsene subito, alla ventura (non è un modo di dire), sicuri che, comunque, con la grinta e gli studi così ben fatti, dovunque e in ogni modo ce l'avrebbero spuntata. «Se fosse stato possibile, gradivo una città di mare. Avevo solo detto a Lanza: professore, mi aiuti ad andare via», racconta Campanelli. «Con in tasca una presentazione per il prof. Pietri, ordinario di Semeiotica chirurgica a Trieste, arrivo in un giorno di settembre. Il mare c'era, ma proprio in quell'anno Pietri coronava un suo sogno, la cattedra a Milano. Mi aveva appena conosciuto, tanto da potermi dire: "Tu sei bravo. Vieni con me". Milano dunque, grigia, difficile. Non avevo scelta. Era il 25 ottobre del 1985. Milano silenziosa, tranquilla per me che venivo da Napoli, estranea, incoraggiante. Trovai un ragazzo d'oro, milanese, che mi offrì di dividere casa e affitto con lui, vicino a Sant'Ambrogio. Il primo atto fu entrare nella basilica per... ingraziarmi il patrono della città che mi accoglieva... ».
Pietri era già arrivato, la clinica era ancora tutta da impiantare. Il professore gli aveva detto: «Guarda che non guadagnerai niente». «Per non pesare molto su mamma e papà, che mi avevano incoraggiato all'esodo, in quel periodo ho fatto di tutto, perfino ricerche di mercato. Telefonavo e chiedevo: "Cosa ne pensa di Pippo Baudo?", per esempio. Finché non arrivarono le prime borse di studio». Da quel momento il nostro ha bruciato in breve tempo molte tappe: stage a Parigi, Svizzera, Principato di Monaco: si specializza in flebologia e poi in chirurgia epato-biliare. Vince anche il posto di assistente all'Università, V Clinica chirurgica; apre uno studio presso un centro medico-estetico; diventa collaboratore di importanti riviste scientifiche (ha 40 pubblicazioni), conosce Marina Lodi, piemontese, «la donna della mia vita», afferma. All'ospedale «Luigi Sacco», dove lavora, chi ti incontra. Pietro Di Biasi, compagno di studi a Napoli.
«Sapevo che a Milano il prof. Carmine Santoli dirigeva la Divisione di cardiochirurgia del "Sacco"», racconta Di Biasi. «Che fai a Napoli?» gli dice, incontrandolo. «Vieni su». «Avevo 23 anni. Vinco il concorso per assistente di cardiochirurgia e divento l'assistente più giovane d'Italia». Veniva dal «Garibaldi» e dalla «Nunziatella». L'impatto con Milano era stato «strano». «Mi mancava il mio traffico, i miei rumori, piazza Carlo III». In questo silenzio anomalo per lui, riesce a farsi strada superbamente, vince il premio «Donatelli-De Gasperis» per il miglior lavoro in cardiochirurgia. Diventa anche delegato della Società Polispecialistica Italiana di Giovani chirurghi, raggiunge in brevissimo tempo quote impensabili per uno della sua età.
Come vivono il ricordo di Napoli questi «cervelli» fuggiti dalla città d'origine? Quasi all'unisono rispondono: «Abbiamo un certo senso di colpa, perché abbiamo contribuito al depauperamento di intelligenze della città che ci ha visti nascere. Siamo però in tanti professionisti, quassù. Il tribunale, il lunedì mattina, parla napoletano, della partita della domenica, s'intende». Nostalgia di mamma e papà, il pediatra Augusto e la signora Maria Rosaria Visconti per Campanelli, l'avvocato Rocco e la meravigliosa mamma Iole Speranza per Di Biasi. «Una certa malinconia se penso al mare, se cala la nebbia», dice Campanelli. «Però con Napoli prima avevo un pessimo rapporto, per via dell'invivibilità. Ora c'è la Napoli che esiste solo nei miei sogni». E Di Biasi: «I nostri pazienti vengono in gran parte dal Sud e da Napoli molti. Mettere a posto un cuore napoletano a Milano è gioia doppia».